giovedì 3 settembre 2020

Recensione "Io sono Zelda" di Andrew David MacDonald

Cari romantici, Silva Zenati ha letto "Io sono Zelda" di Andrew David MacDonald, un romanzo edito Sperling&Kupfer.

Titolo: Io sono Zelda
Autore: Andrew David MacDonald
Genere: Romanzo
Editore: Sperling&Kupfer
Per acquistarlo → Io sono Zelda

to be continued...

SINOSSI
Per Zelda MacLeish «il mondo è un posto dove le cose che contano di più sono il coraggio e far parte di una tribù, in cui siamo tutti vichinghi che remano insieme al ritmo dello stesso tamburo.»
Zelda adora i vichinghi: ne conosce a memoria tradizioni e miti, ne ammira il coraggio e la possibilità che offrivano a tutti di diventare eroi di una leggenda. Anche alle donne (le valchirie erano più forti di tutti). Anche alle persone quasi invisibili come lei.
Zelda è invisibile perché è diversa, che, come è solita spiegare, «è un modo più carino per dire ritardata». È nata con un disturbo cognitivo per il quale gli altri non la ritengono in grado di decidere per se stessa, anche se ormai ha ventun anni e ha le idee molto chiare sulla vita, che organizza rigorosamente in liste da seguire.
A prendersi cura di lei è Gert: il suo fratello, il suo guerriero, l'unica famiglia che le resti. Gert è bravissimo a sopravvivere alle battaglie della vita, ma anche a mettersi nei guai. Così, quando Zelda scopre che il fratello ha trovato un metodo discutibile e pericoloso per guadagnare i soldi necessari a mantenere entrambi, decide di prendere in mano la situazione.
Ben presto, si ritroverà alle prese con una sfida che metterà a dura prova il suo coraggio vichingo e si scoprirà disposta a tutto pur di scrivere da sola la sua leggenda. Anche ad andare contro le regole, se si tratta di salvare la sua tribù.

RECENSIONE

Zelda ha ventuno anni, vive col fratello alla periferia di una qualsiasi città americana ed è, per sua stessa ammissione, “ritardata”. Il suo ritardo mentale è stato causato dall'alcolismo della madre in gravidanza. Ma, nonostante sappia di non essere “normale”, Zelda vuole vivere la sua leggenda proprio come gli eroi vichinghi di cui conosce tutto e dalle cui vite prende ispirazione e coraggio.
Mentre le persone normali intorno a lei si comportano come “bifolchi” e “merdacce”, Zelda cerca di vivere il più onorevolmente possibile per portare lustro e sostegno economico alla sua tribù, perché due cose sono veramente importanti per un vichingo: avere coraggio e curarsi della propria tribù, due certezze che non l'abbandonano mai e che le permetteranno, infine, di vivere la sua leggenda.
Era parecchio tempo che non mi capitava di leggere un romanzo arricchito da un bell'insegnamento, da un messaggio bello e finalmente arriva “Io sono Zelda”.
Zelda non è normale perché ha un ritardo mentale, ma la sua “anormalità” risiede anche nel fatto che, a differenza di molte persone considerate “normali”, quando fa una promessa la mantiene, quando c'è da imparare fa di tutto per capire, si dà delle regole e le segue, e mai e poi mai si fa scudo della sua anormalità per giustificare un errore o per coprire una mancanza. Per lei la vita è semplice: ci sono delle battaglie da fare e se non si vuole essere dei bifolchi o, peggio, delle merdacce, le regole vanno rispettate, anche in battaglia.

Quasi tutte le donne vichinghe stanno a casa, fanno bambini, cucinano e puliscono. Ma io non ho mai voluto essere così. La mia parte preferita della “ Guida Kepple ai vichinghi” parla delle valchirie, donne forti e magiche che durante le battaglie decidono chi vive e chi muore.
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Però non puoi diventare una valchiria, devi nascere così. Non è come per gli eroi che diventano eroi compiendo imprese leggendarie.

Il romanzo è scritto in prima persona, al passato, ed è Zelda che racconta la sua vita. Di conseguenza la scrittura è studiatamente semplice con frasi brevi che esprimono concetti, sensazioni ed emozioni senza fronzoli o giri di parole. Dopo un po' che leggevo mi sono ritrovata a desiderare di ragionare come lei, a desiderare di avere degli eroi, veri, leggendari da cui prendere ispirazione, da cui farmi guidare senza frapporre gli inutili schermi delle mie elucubrazioni mentali, una per ogni situazione.
Zelda è stupenda, ha alle spalle un vissuto familiare che è lecito chiamare tragico, vive in un quartiere dove è meglio chiudere bene la porta di casa o qualcuno può entrare e rubare, sa benissimo di non essere normale ma decide di vivere la sua leggenda e mai una volta si chiede se ne sia all'altezza, mai una volta ha dubbi sul fatto che lei sarà un eroe leggendario.

Per i vichinghi un “holmganga” è un modo di risolvere problemi tra persone in conflitto. Le persone combattono secondo regole precise e chi vince l'holmganga vince. E' venuto fuori che Gert ci aveva mentito e che in realtà lo avevano buttato fuori dal college. Visto che lui non poteva combattere contro la scuola, ha dovuto fare un “Bing” che è un gruppo di persone che decidono se devi essere punito per un crimine che hai commesso oppure no. La “ Guida Kepple ai vichinghi” dice che bisogna raccontare la storia del crimine commesso a un gruppo di anziani che decideranno cosa deve succedere. La persona anziana che doveva decidere il destino di Gert era la rettrice.

Lei va incontro a nuove esperienze, difficoltà e personaggi cattivi senza l'inutile ansia generata dagli inservibili in cui spesso noi “normali” ci impantaniamo perdendo di vista l'obiettivo. Zelda conosce bene la differenza tra bene e male e non accetta, se non in casi altamente eccezionali che le due opzioni vengano confuse.

Nelle leggende vichinghe l'eroe va dal mostro, nella sua caverna. Io non avevo l'indirizzo di Toucan. Non era nel computer della biblioteca.... ma sapevo che c'era un posto dove potevo trovarlo, dove lui e la sua tribù passavano il tempo a fumare e a fare i cattivi.
Ho preso la mia spada vichinga. Ho preso un fazzolettino e l'ho fatta brillare per bene poi me la sono messa in borsa. Spuntava fuori così l'ho avvolta in una vecchia maglietta e ho preparato il mio cuore alla battaglia.

Leggendo questo romanzo mi si sono affacciate alla mente delle domande: quante volte al contrario di Zelda rinunciamo in partenza perché non crediamo in noi stessi? Quante volte sviliamo, dimentichiamo i “doni che gli dei ci hanno fatto alla nascita”? Possiamo anche noi cosiddetti “normali” provare ad alleggerire la mente, credere in poche buone cose essenziali e, grazie a queste, vivere la nostra leggenda? Certo che possiamo, questo è il messaggio bello del romanzo.
Zelda ci insegna ancora una volta non che i mostri esistono, quello lo sappiamo già, ma che possiamo batterli e, il cielo lo sa, quanto anche noi adulti e “normali”, abbiamo bisogno di ricordarcelo
Consigliatissimo.
Buona lettura!
Bello
Alla prossima, Silva Zenati.
Il team di Passion For Books. ♥

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