martedì 4 febbraio 2020

Recensione "I bambini di Svevia" di Romina Casagrande

Cari romantici Silva Zenati ha letto "I bambini di Svevia" di Romina Casagrande, un romanzo edito Garzanti.

Titolo: I bambini di Svevia
Autrice: Romina Casagrande
Genere: Romanzo
Editore: Garzanti
Per acquistarlo → I bambini di Svevia

to be continued...

SINOSSI
Protetta dalle mura di una casa nascosta dal rampicante, Edna aspetta un segno. Da sempre sogna il giorno in cui potrà mantenere la parola data. L’unico a farle compagnia è Emil, un pappagallo dalle grandi ali blu. Non le è mai servito altro. Fino a quando una notizia la costringe a uscire dall’ombra e a mettersi in viaggio. È arrivato il momento di tener fede a una promessa a lungo disattesa. Una promessa che lega il suo destino a quello dell’amico Jacob, che non vede da quando erano bambini. Da quando, come migliaia di coetanei, furono costretti ad affrontare un terribile viaggio a piedi attraverso le montagne per raggiungere le fattorie dell’Alta Svevia ed essere venduti nei mercati del bestiame. Scappati dalla povertà, credevano di trovare prati verdi e tavole imbandite, e invece non ebbero che duro lavoro e un tozzo di pane. Li chiamavano «bambini di Svevia». In quel presente così infausto, Edna scoprì una luce: Jacob. La loro amicizia è viva nel suo cuore, così come i fantasmi di cui non ha mai parlato. Ma ora che ha ritrovato Jacob, è tempo di saldare il suo debito e di raccontare all’amico d’infanzia l’unica verità in grado di salvarli. Per riuscirci, Edna deve tornare dove tutto ha avuto inizio per capire se è possibile perdonarsi e ricominciare. Lungo antiche strade romane e sentieri dei pellegrini, ogni passo condurrà Edna a riscoprire la sorpresa della vita, ma al contempo la avvicinerà a un passato minaccioso. Perché anche la fiaba più bella nasconde una cupa, insidiosa verità.

RECENSIONE
Edna Weiss ha più di ottanta anni, vive in una piccola casa con un giardino di cui è molto orgogliosa  che condivide con un pappagallo vecchio almeno quanto lei. È un tipo silenzioso la signora Edna, osserva il mondo dalla finestra senza giudicarlo e senza interferire con i suoi cambiamenti. Però, non è tutto qui perché da moltissimi anni Edna sta effettuando una ricerca  e lo fa facendosi portare ogni settimana il giornale Stern di cui sfoglia  le pagine con cura fino a quando la sua pervicacia dà i suoi frutti. Finalmente nella fotografia di un articolo sull'ondata di maltempo che ha colpito mezza Europa riconosce, seppur invecchiato, un volto inconfondibile per la cicatrice che deforma la palpebra sinistra: Jacob, il bambino che era nella fattoria dell'alta Svevia insieme a lei e a molti altri. Lui era speciale per lei, si erano scambiati una promessa che Edna non era stata in grado di mantenere e che le era pesata addosso per il resto della vita. In seguito alla distruzione della propria casa dovuta a una frana Jacob è rimasto ferito ed è ricoverato all'ospedale di Ravensburg.
Edna decide allora che è arrivato il momento di tener fede all'antica promessa e partire per ritrovare Jacob.

“Non conosceva calendario più affidabile del suo giardino, che si trasformava con il passare dei mesi e delle stagioni, pensò Edna gonfiando i polmonid'orgoglio e profumo di Melissa. L'incedere lento e ineluttabile del tempo lo riconosceva dal colore dell'erba, dal modo in cui i rami sivestivano di foglie riparandola dal vigore del sole”.


Quando ho iniziato a leggere questo romanzo non sapevo proprio cosa aspettarmi, non conoscevo le vicissitudini dei Bambini di Svevia e per me è stata una dolorosa scoperta venire a conoscenza del fatto che per circa tre secoli nell'Alto Adige venivano venduti i bambini dai cinque ai quattordici anni nei mercati del bestiame come si vendevano vitelli e maiali, è stato un pugno nello stomaco. E questa è la parte storica del romanzo basata su un'accurata ricerca fatta dall'autrice che ha addirittura percorso lo stesso viaggio che facevano quei bambini per andare a lavorare duramente nelle fattorie ai cui proprietari erano stati venduti. Ma Romina Casagrande è stata eccezionale nel diluire i fatti storici nei ricordi e nelle riflessioni di Edna durante il suo viaggio attraverso le montagne tirandosi dietro Emil lo strampalato pappagallo. E con Edna ho viaggiato anche io ricordando episodi della mia infanzia e adolescenza, dolorosi a volte oscuri.
Quante volte, come lei mi sono sentita incapace di affrontare le situazioni?
Quante volte sono stata una “pappamolla” come l'aveva soprannominata Jacob prendendola in giro?
Quante volte ho lasciato che mi facessero del male facendomene a mia volta? Cento, mille volte?
Ma c'è una domanda finale che svetta su tutte le altre: come è andata alla fine di ognuna di quelle volte?
Sono stata capace di rialzarmi e andare avanti, di continuare il viaggio o intraprenderne uno nuovo?

“Edna ripensava alla sua cartina. Al viaggio segnato in punta di matita e alla stellina che indicava Ravensburg. «E ha finito per dimenticarsene», ma poi un giorno, quando meno te lo aspetti capita qualcosa che ti fa tornare lì ed è come non te ne fossi mai andata”

È quello che mi è successo leggendo questo romanzo, sono tornata lì alla piccola me stessa che pensava sempre di non farcela, di essere troppo poca coraggiosa, troppo pasticciona, troppo... tutto di ogni difetto che si possa descrivere parlando di una “pappamolla”, ma in quella apparentemente assurda testardaggine di Edna nel voler intraprendere un viaggio attraverso le montagne anche a piedi, se necessario, ho riconosciuto il coraggio, la capacità di avvertire la sicura presenza di difficoltà e la determinazione di superarle in lei come in me.
È questo che ci regala “I bambini di Svevia”, la possibilità di riconsiderarsi, di volersi più bene, di saper vedere quante volte siamo stati capaci di rimettere insieme i pezzi di puzzle in cui si era frantumata la nostra vita dandole un nuovo respiro, altro che “pappamolla”.

“Nessun viaggio seguiva tracciati sicuri, nemmeno se era occcorsa una vita intera per programmarlo. Le cose andavano come dovevano, a volte prendendo forme bizzarre e incomprensibili. Ma alla fine era l'unica strada giusta quella intrapresa dai tuoi scarponi”.

Rispondendo alla domanda di due paragrafi fa, posso dire che sì, sono stata capace di rialzarmi e continuare e anche di intraprendere un viaggio nuovo in un territorio sconosciuto e, grazie a Edna, adesso so che saprei intraprenderne ancora un altro se ce ne fosse bisogno.
In definitiva un gran bel libro raccontato dall'autrice in forma di narratore esterno, con una scrittura armoniosa e scorrevole così come lo sono le vicende che, seppur descrivano situazioni a volte estremamente dolorose, non sono mai claustrofobiche.
Buona lettura!
Bello
Alla prossima, Silva Zenati.
Il team di Passion For Books. ♥

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